…Ciò che non comprendo…sono i motivi che portano un bimbo, in un primo tempo, a farsi carico del problema esistente tra i genitori e, in un secondo tempo – ancora più grave -, una volta realizzata l’impossibilità di “curarli”, sentirsi addirittura la causa del problema; in sostanza il disagio relazionale tra i suoi genitori è colpa sua! (email firmata)
“Aiuto! Che cosa c’è qui che non va?” – ci eravamo lasciati con il grido preoccupato di un piccolo che cresce in una casa piena di amore, ma con qualche turbamento emotivo (“il problema tra i genitori” di cui parla il nostro lettore). Il piccino di quell’Amore non può fare a meno per crescere emotivamente, per colmare quella “disperazione primordiale” che gli impone di ricercare e agganciare più saldamente che si può il cuore di mamma e papà. Ai suoi genitori il neonato si presenta con il patrimonio emotivo costituito nella vita intrauterina, ossia con i tre pilastri della sua vita affettiva: rabbia, pena, paura – tre nuclei di pura energia già in grado di fargli percepire i propri bisogni di relazione e la condizione dell’ambiente circostante. In breve: quando a casa c’è una perturbazione le tre forze, invece di fluire libere e crescere armoniche al servizio del piccolino, si mettono a disposizione dell’adulto in difficoltà – “e certo, meglio salvare lui se voglio crescere anche io, no?”. La pena, allora, si insinua nei meandri della emotività di chi soffre per indagare il disagio che percepisce, la rabbia cercherà di stare cheta e si accumula soffocandosi – a continuo rischio di scoppio – e la paura suonerà tutti gli allarmi in risposta alla deviazione di funzionamento delle sorelline – “mamma-papà da aiutare allarme rosso!”. Per non correre il rischio di perdere l’amore – una minaccia insostenibile per un piccolino – il bimbo si trasforma in croce rossa. E siamo giunti a rispondere alla prima delle due domande. Quello che combina un esserino così con il suo sistema di soccorso lo potete forse immaginare! Un pasticcio di provocazioni che scoppiano, allarmi che suonano, tanta tenerezza, che quasi sempre gli adulti guardano increduli e non capiscono. A questo servono gli esperti di perinatalità, a tradurre le parole dei piccini in modo da essere comprensibili ai più grandi, ad evitare che si instaurino quei malintesi che portano al secondo stadio: la sensazione del piccolo di essere causa dei guai dei più grandi. E già, perché se mamma e papà si inquietano sempre più per delle segnalazioni che spesso, non a caso, mettono in crisi proprio i loro punti deboli, alla fine ci sarà una tragica risposta a quel “che cosa c’è che non va?”: IO. Così funziona il sistema emotivo del bambino e non potrebbe funzionare diversamente: le fonti del nutrimento più importante – l’Amore – devono essere salvate sempre e comunque; o così o morte, è costretto a sentire il pargolo. Sembra più sicuro prendersela alla fine con sé e cercare in tutti i modi – anche maldestramente – di rimediare con il proprio sacrificio, appunto prendersi la colpa del pasticcio, che dire che nella fonte della propria vita c’è qualche cosa che non va. Eccoci alla fine della maratona della risposta alla sua domanda.
Romana Caruso