Qualcuno lo ha chiamato il dramma della gelosia. Ma la gelosia non uccide e non fa male. Ancora una volta, invece, una follia si aggira per le strade della nostra città a San Polo, nella storia di Francesca e delle sue figlie e di Mario. La cronaca rivelerà con calma la realtà dei fatti, mentre la verità psicologica, quella legata al vissuto di Mario, sarà conosciuta solo dagli esperti invitati ad analizzare il caso. Poche a caldo le considerazioni, obbligatorie per una città che si interroga. Mario non è geloso: parlare di gelosia non basta ed è fuorviante; accusare la separazione superficiale e confondente. Quando la rovina serpeggia nelle relazioni,un’altra è la parola chiave: pericolo.La perdita di Francesca perMario è allarme di una perdita di un pezzo di sé e il suo possesso l’illusione di stare bene. Pericolo di perdere il potere su di un altro, che autorizza lentamente, con il passare del tempo, a decidere della sua vita e della sua morte. Storie che non maturano mai, dove forse Mario è restato al palo della sua disperazione, quella che lo ha sviluppato nel sistema illusorio e drogato, e Francesca ha cercato di cambiare. Pericolo di avere a che fare con la propria impotenza, uno stato emotivo e concreto che sperimentiamo tutti, spiacevole, che una evoluzione emotiva sana porta ad accettare e a superare costruendo quella fiducia in sé che è la prima pietra di un rapporto sereno con se stessi e con gli altri. La via che ha potuto seguire Mario è stata quella di impugnare un’arma,quella di altri è seviziare fisicamente e psicologicamente la persona che si ama di più. Caricarsi di rabbia, provocare, uccidere con la parole e i gesti è una reazione comune a molti nella vita quotidiana. Un meccanismo di difesa diffuso, mortale anche quando non raggiunge l’apice della tragedia: il vissuto angoscioso non si risolve, si alimenta di follia e candida al fallimento di ogni relazione affettiva con gli altri e con se stessi. Chissà se Mario si sarebbe ucciso se non fosse intervenuto il coraggioso carabiniere, chissà se per lui la disperazione avrebbe avuto almeno il limite dell’autoconservazione. Di certo Mario ha risparmiato le sue piccine, quasi un inaspettato gesto di pietà verso una parte di sé. Eppure tanto orrore nel cuore di quelle bambine sarà difficilissimo da elaborare. Mamma Francesca esce precocemente dalla scena della vita, ma le loro bimbe ci entrano con un peso mortale, completamente innocenti, colpevoli di essere in un mondo che non sempre sa guardare oltre cercando oltre l’impulso del momento. Sono impotenti anch’esse e in pericolo: di portare dentro il dolore di un trauma che non trovi mai requiem, un allarme costante verso l’amore che se ne va in modo orribile e improvviso. La speranza è che la società che ha assistito alla fine della loro infanzia possa aiutarle e costruire con loro la potenza vera della stabilità.
Romana Caruso